mercoledì 25 febbraio 2009

i dati del viminale sulla violenza e sugli stupri,molto diversi da quelli forniti dai mass media

Il fattore sicurezza lo portano avanti i mass media guidati dai governanti, la vera sicurezza si fa scendendo in strada e vivendo la propria città,si fa avendo fiducia e essendo solidale tra concittadini,non avendo paura e rinchiudendosi in casa dando le colpe ad altri.
-------------------------------------------------------------------------------------autore:
Alessandro Bongarzone
Ogni 10 casi di violenza alle donne, in quasi 7 gli autori sono maschi italiani, seguiti - in questa particolarissima classifica degli orrori -da romeni (7,8%) e marocchini (6,3%). È quanto emerge dai dati forniti dal Viminale e resi noti oggi, durante un convegno sul tema delle violenza sulle donne, dalla capo di gabinetto del ministero delle Pari Opportunità, Simonetta Matone.

Ma non è tutto, dai dati che l'ex magistrato del Tribunale dei minori di Roma illustra durante il convegno, organizzato dal gruppo di associazioni “Tandem generation”, apprendiamo che nel 2008 i casi di violenza sessuale, perpetrati - nell'84% dei casi - ai danni delle donne, si sono ridotti dell'8,4% passando dai 5.062 casi del 2007 ai 4.637 dello scorso anno.
In flessione anche le violenze di gruppo, ridotte di quasi il 25% (24,6 per la precisione) e le violenze sessuali non aggravate che sono scese del 7,4% rispetto ad un aumento del 6,8% registrato nel 2007. L'ultimo dato nazionale fornito dalla Matone si riferisce, infine, al triennio 2006-2008 e riferisce di una diminuzione complessiva del 16%.
Il dato disaggregato, riferito ad alcune città - Roma, Milano, Bologna - si discosta poco dalla media nazionale rispetto al numero complessivo di atti di violenza. Diversa, invece, la colorazione dei balordi autori delle violenze: la percentuale degli italiani passa dal 48 di Roma, al 41 di Milano e al 47 di Bologna mentre, la percentuale di romeni diventa del 28 a Roma, dell'11 a Milano e 10 a Bologna.

Insomma, premesso che stiamo parlando di 4.637 persone che, nel 2008, sono rimaste vittime di violenza e non di gitanti al mare; premesso, ancora, che stiamo parlando di fatti di una gravità inaudita, perché messi in atto su persone inermi e, quasi sempre, indifese; non ci pare peregrino segnalare, però, che la fotografia scattata dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza presso il ministero dell'interno, rivela una situazione molto diversa da quella che certa stampa sta tentando di accreditare presso l'opinione pubblica per motivi, a questo punto, palesemente diversi dalla semplice denuncia o dal diritto di cronaca. Forse inconfessabili ma, senza dubbio, ispiratori delle scelte autoritarie a antiliberali del governo.

Eppure, i dati forniti - quest'oggi - dalla Simonetta Matone, nonostante l'ottimismo che sembrano instillare, per noi sono tutt'altro che confortanti soprattutto se letti alla luce delle denunce che, in questi mesi (per non dire anni) le associazioni delle donne hanno fatto circa le ipotetiche riduzioni dei casi denunciati. Riduzione dei casi denunciati, appunto, che è cosa ben diversa dai casi perpetrati. Infatti, alle associazioni di autodifesa e di assistenza alle donne vittime di violenza, poco importa sapere se lo stupratore sia bianco o colorato; italiano o marocchino; ben vestito e di buona famiglia o povero cristo. Per loro lo stupratore è un balordo e basta. Anzi, per dirla con Angela Kustermann, una delle più famose ginecologhe italiane e dal '96, responsabile del Soccorso Violenza Sessuale al Policlinico Mangiagalli, “uomini violenti da recuperare”.

In un'intervista a “L'Espresso”, infatti, la Kustermann analizza, dal suo osservatorio di oltre 5.000 donne assistite in 16 anni, la situazione attuale e fornisce una chiave di lettura diversa dalla vulgata ma, comune a tutte le altre realtà di difesa delle donne.
Che il 2009 sia l'anno dell'emergenza, dice la Kustermann: “è una falsità, da tre anni i dati sono praticamente invariati. Quel che è cambiata è l'attenzione dei media. In questo momento molti cronisti sono sguinzagliati nelle questure alla ricerca di casi clamorosi, che riempiono i telegiornali e le prime pagine. Ma purtroppo le storie che raccontano noi le conosciamo bene. Le abbiamo affrontate ogni giorno, anche quando non ne parlava nessuno".
Per la ginecologa del Mangiagalli non sono in aumento neanche gli stupri in strada semplicemente fanno più rumore. La verità è che, nella realtà quotidiana, a strappare con la forza il rapporto sessuale sono più spesso persone già note, conoscenti anche occasionali, ex partner, datori di lavoro. “Ma in questi casi - dice la Kustermann - le denunce sono piuttosto rare. È molto più probabile che le vittime, piuttosto che andare in questura, vengano da noi perché stanno male ed hanno bisogno di aiuto. Una donna su tre non confida a nessuno, neanche all'amica più cara, quello che ha subito”.
Insomma, secondo Angela Kustermann, le cronache, ma anche i dati delle denunce, darebbero un'immagine poco realistica perché ”gli unici dati certi vengono dalle denunce. Ma sappiamo che solo l'8% delle donne decide di affrontare un processo obiettivamente umiliante e difficile”.
“Nello stupro di strada la vittima - prosegue la responsabile del Soccorso Violenza Sessuale del policlinico di Milano - ha lesioni anche gravi e persone che possono testimoniare. Ma nelle violenze inflitte da persone conosciute è ben diverso. In tribunale ci sarà solo la parola della donna contro quella dell'aggressore, che dirà immancabilmente: “Ma lei ci stava!”. Anche i segni della violenza possono essere poco evidenti, piccoli lividi sulle cosce, piccole lesioni interne. In un caso su cinque non ci sono affatto perché le donne si ribellano raramente. Hanno paura, conoscono il rischio di essere uccise. Mentre gli stupratori sanno che difficilmente verranno denunciati".

È, dunque, da questa situazione e da questi dati, illustrati da una che, purtroppo per le vittime, “se ne intende” che sarebbe dovuta partire la risposta d'un governo serio e non dalle denunce di giornalisti codini e, spesso, partigiani - prevenuti - dell'ordine e della disciplina.
Dalla constatazione che è in atto una vera e propria guerra contro le donne, vittime di una vulgata che vuole il corpo della donna spogliato pubblicamente e violato in privato come manifestazione di potere; da qui e non dalle ronde che, troppo spesso, rischiano di aumentare la paura delle stesse vittime; dai telefoni satellitari alle donne che lavorano di notte e non dal gratuito patrocinio alle vittime anche alle vittime. Ma, soprattutto, dal recupero del concetto di legalità che si fonda, non solo sulla certezza della pena ma, ancor di più, dalla celerità dei giudizi che, al contrario, sono stati ingessati e allungati nei tempi per rispondere alle necessità di qualche impunito e impunibile.

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